il Territorio
il borgo di Bevagna e le sue bellezze

> un luogo di relax e ricco di cultura e storia
La Città di Bevagna ha origini preromane: originariamente abitata dagli Umbri, subì in seguito influssi Etruschi. Il nome deriva probabilmente da un gentilizio Etrusco, Mefana, divenuto poi Mevaniain in latino. Si hanno notizie di Bevagna già nel 308 a.C., quando lo storico latino Livio la cita come sede di una battaglia tra una lega Umbra e i Romani: “Dicto paruit consul magnisque itineribus ad Mevaniam, ubi tum copiae Umbrorum erant, perrexit”. Alcuni storici dubitano sulla reale esistenza di questa battaglia, tuttavia è certo che la Città si alleò con Roma nel 295 e in seguito divenne municipio romano, nel 90 a.C.
La Città era al tempo molto prospera: ne è testimonianza il fatto che ancora oggi è possibile ammirare le terme, decorate con splendidi affreschi, i resti del teatro, su cui sono state costruite case medievali, l’anfiteatro, all’esterno delle mura medievali, alcuni cippi e iscrizioni latine, una domus, vari reperti murari, parte di un tempio, che venne trasformato in una chiesa.
La prosperità della Città era dovuto alla navigabilità dei fiumi, come il Topino e il Timia, e al passaggio della Via Flaminia; in particolare vi passano il ramo orientale, da Ocriculum (Otricoli), a Carsulae, a Massa Martana, che poi andava a ricongiungersi con l’altro ramo che passava per Spoleto. Questo secondo tratto col tempo divenne quello preferito, mentre l’altro cadde in disuso, probabilmente a causa della difficoltà nella sua manutenzione. Dopo la caduta dell’Impero Romano, la Città divenne gastaldato del Ducato di Spoleto.
In seguito alla diffusione del Cristianesimo, Bevagna ebbe anche un suo martire, San Vincenzo, patrono della Città.
La città subì gravi danno in vari periodi storici: venne distrutta da Federico Barbarossa intorno al 1152, dal Conte d’Angiò e dai Trinci, verso il dominio dei quali si era ribellata. Probabilmente in uno di questi passaggi vennero distrutte le mura romane descritte da Plinio il Vecchio, che, insieme alle mura di Arezzo, sono tra i pochi esempi di mura costruite in mattoni crudi. Rimangono esempi di opus reticolatum nella parte nord della cittadina. Dopo il passaggio allo Stato della Chiesa, divenne un libero comune retto da consoli; in seguito passò sotto il dominio dei Trinci di Foligno, per poi tornare definitivamente sotto il diretto controllo della Chiesa, fino all’Unità d’Italia.
> scopri la struttura
Chiesa e cripta
di S. Michele Arcangelo
Fu la prima Cattedrale della città, poi collegiata abolita da Federico II nel 1248.
Fu ripristinata solamente nel 1620 per volontà di Papa Paolo V. La chiesa nel corso dei secoli subì numerose modifiche: nel XV sec. fu restaurato il tetto per volontà del priore Bernardo Eroli, mentre nel XVII sec. l’interno e la facciata furono adattati al gusto barocco. Fu aperto un nuovo rosone dobato demolendo l’originale e parte della mensola con archetti; l’interno, sia della chiesa che della cripta, fu interamente coperto di stucchi e con volte in “camorcanna”; il campanile edificato alla fine del XII sec, fu modificato nella parte superiore utilizzando pezzi di recupero del campanile preesistente.
La nuova chiesa fu consacrata nel 1666 dal Vescovo di Spoleto. Ulteriori restauri datano 1741 e 1834.
Tra il 1951 e il 1957 la chiesa fu riportata alle forme originali, demolendo interventi barocchi e ripristinando le parti mancanti. L’assetto attuale è a impianto basilicale con presbiterio rialzato e navate separate da colonne con archi di valico caratterizzati da ghiere rincassate poggianti su capitelli abrasi per gli interventi barocchi.
La facciata databile ai primi anni del XIII sec. è costruita in blocchetti di travertino. La cripta si compone di dodici campate determinate da sei sottili colonne.


> sulle tracce di Francesco
Presenza di S. Francesco
a Bevagna
S. Francesco fu più volte a Bevagna, castello che si trovava sulla strada più breve che da Assisi, per Montefalco, Spoleto, Terni, portava alla Valle di Rieti, terra tra le predilette dal Santo.
Il Santo a Bevagna compì vari miracoli documentati da fra Tommaso da Celano, che riportiamo.
“Una volta Francesco era diretto a Bevagna, ma indebolito dal digiuno, non era in grado di arrivare al paese. Il compagno mandò umilmente a chiedere a una devota signora del pane e del vino per il santo. Appena la donna conobbe la cosa, insieme a una figlia vergine consacrata a Dio, si avvio di corsa per portare al santo quanto era necessario. Ristorato e ripreso alquanto vigore, rifocillò a sua volta madre e figlia con la parola di Dio” (Fra Tommaso da Celano – Vita di San Francesco d’Assisi – Vita II 114).
“Bevagna è un nobile castello della Valle spoletana. Viveva in esso una santa donna, con una figlia vergine ancor più santa e una nepote assai devota di Cristo.
San Francesco onorava spesso la loro ospitalità con la propria presenza, poiché aveva anche un figlio nell’Ordine, uomo di specchiata virtù. Ora la nipote era priva del lume degli occhi esterni, benché quegli interi, con i quali si vede Iddio, fossero illuminati di meravigliosa chiarezza. San Francesco implorato una volta perchè avendo pietà del male di lei, avesse anche riguardo alle loro fatiche, inumidì gli occhi della cieca con la sua saliva, per tre volte, nel nome della Trinità, e le restituì la desiderata vista“ (Fra Tommaso da Celano – Vita di San Francesco d’Assisi – Trattato dei Miracoli, 120).
A Piandarca, località lungo la strada che collega Bevagna con Cannara, S. Francesco tenne la predica agli uccelli tra il 1212 e il 1213. Nel 1926 in occasione del VII centenario della morte di San Francesco vi è stata eretta una piccola edicola.
Fra Tommaso da Celano, il biografo di San Francesco più accreditato, così scrive: “Frattanto mentre si accrebbe, come si è detto, il numero dei frati, il beatissimo padre Francesco attraversava la valle Spoletana. Giunse ad un luogo presso Bevagna, dove era raccolta una grandissima quantità di uccelli di ogni specie, colombe, cornacchie e le così dette monachine. Vistili il Servo di Dio, che era pieno di tanto fervore da sentire pietà ed affetto anche per le creature inferiori e irragionevoli, in fretta corse ad essi, lasciando sulla strada i compagni. E avvicinatosi, vedendo che lo attendevano, li salutò secondo la sua abitudine; ma stupito che gli uccelli non si fossero levati a volo per fuggire come son soliti fare, ripieno di gaudio, umilmente li pregò di voler ascoltare la parola di Dio. E tra l’altro disse così: «Fratelli miei alati, molto dovete lodare il vostro Creatore, ed amarlo sempre, perché vi di diede le piume per vestirvi, le penne per volare e tutto ciò che occorre al vostro bisogno. Dio vi fece nobili tra le altre creature e vi concesse di dimorare nella limpidezza dell’aria, voi non seminate e non mietete, eppure Egli stesso vi protegge e governa senza alcuna vostra sollecitudine». A queste parole quegli uccelli, come raccontavano egli stesso e i frati che si erano trovati con lui, mirabilmente davan segni di esultanza secondo la loro natura, allungando il collo, distendendo le ali, aprendo il beccuccio e guardandolo. Ed egli passava e ripassava in mezzo a loro, sfiorando le testine e i corpi con la sua tonaca. Infine li benedisse e, fatto il segno di croce, diede loro licenza di volare altrove. Poi il beato Padre coi compagni riprese il suo cammino, giubilando e ringraziando Dio, che è venerato da tutte le creature con confessione devota. Egli che era semplice, non per natura, ma per grazia cominciò allora ad accusarsi di negligenza, perché non aveva prima d’allora predicato agli uccelli, dal momento che questi ascoltavano con tanta riverenza la parola, di Dio. E da quel giorno prese ad esortare sollecitamente tutti i volatili, tutti gli animali, tutti i rettili, e anche le creature insensibili, a lodare e amare il Creatore, poiché ogni giorno sperimentava la loro obbedienza all’invocazione del nome del Salvatore“.
Edificata alla fine del XIII secolo, con annesso convento, su un precedente oratorio dedicato a San Giovanni Battista, sorge sul luogo più alto della città, dove sicuramente vi era un tempio romano.
La facciata, a capanna, è adorna di un elegante portale polistilo a tutto sesto, con capitelli foliati in marmo.
La semplicità austera della facciata e del campanile contrasta con gli stucchi elaborati dell’interno che è ad una sola navata ed è stato completamente rinnovato nel XVIII secolo.
Vi si ammirano dipinti di Dono Doni e Ascensidonio Spacca. A sinistra dell’altare in alto è incastonata, protetta da una grata, la pietra su cui, secondo la leggenda, avrebbe posato i piedi San Francesco durante la “Predica agli uccelli”.